Etica e Arte Contemporanea (I episodio)

LOS ANGELES, 25 lug - Il suo intento era quello di rappresentare, attraverso le immagini di bambini che piangono, urlano e si disperano, quella rabbia e tormento che dà il trovarsi di fronte all'attuale situazione politica e sociale e sentirsi impotenti. Ma ora la mostra End Times della fotografa canadese Jill Greenberg, organizzata presso la Paul Kopeikin di Los Angeles,si trova al centro di un aspro dibattito che per i toni e le proporzioni che ha assunto ha finito col coinvolgere alcune fra le più autorevoli testate di lingua anglosassone come il New York Times, the Sydney Morning Herald, Los Angeles Times. Per quegli scatti, infatti, che ritraggono piccoli volti in lacrime, l'artista è stata accusata di violenza su minori, di essere una donna crudele (come si legge, per esempio, sul blog del fotografo Thomas Hawk), paragonabile per le sue azioni a Michael Jackson o a Hitler. E pensare che, come spiega il marito produttore, accorso in sua difesa, per realizzare i primi piani la Greenberg ha applicato la stessa tecnica che si usa in pubblicità o nel cinema: cioè dare in mano al bambino un leccalecca e poi levarglielo. Il tutto sempre e costantemente sotto lo sguardo vigile dei genitori dei piccoli e inconsapevoli modelli.
Accuse a parte, sono in molti ora a domandarsi se sia legittimo (etico?) suscitare emozioni negative nei bambini pur di raggiungere il proprio scopo, anche nel caso in cui questo fosse dare forma a un'idea artistica. D'altra parte nessuno si è mai chiesto che i piccoli protagonisti dei delicati scatti di un altra famosa fotografa, Anne Geddes, siano felici o disorientati o annoiati o spaventati nel ritrovarsi vestiti come coccinelle, conigli o cagnolini, infilati nei vasi con un cappello a forma di peperone, girasole o cactus calzato sulla testa, o messi a dormire in strane posizioni e infilati in una zucca.
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